Avventure in Polonia

Un altro estratto dal mio libro di avventure su due ruote in uscita presumibilmente entro il 2032, anno più, anno meno :P

Il confine tra Repubblica Ceca e Polonia e nel bel mezzo dei Carpazi. Paesini da favola, indimenticabili. A colpirmi di più però è stato subito il sorriso delle persone. Un approccio più “easy” alla vita, dovuto al fatto, penso io, di non essere ancora diventati “prigionieri del troppo”. Mi dirigo verso Jelenia Gora, e decido finalmente di concedermi un letto. Dopo giorni di tenda mi concedo una camera comoda, dove poter riposare decentemente. Trovo un piccolo hotel in periferia, mi serve un parcheggio per la Vespa, non posso lasciarla in strada, anzi, me lo sconsigliano proprio. Lunga trattativa con il cameriere che parla un Inglese stentato, “posso mettere la vespa all’interno del cortile?” “NO”. “Dai, che problema c’è?” “REGOLAMENTO” vabè cercherò un altro posto. Giro la Vespa per ripartire e vedendo la targa italiana se ne esce con un “Miiiinchia Italiaaaano sei?”.

Mario ha lavorato dodici anni a Palermo, mi tratta come un re, trova il posto per la Vespa, mi racconta la sua vita in Italia e il giorno dopo a colazione mi fa trovare cinque panini da riempire “con quello che vuoi così non spendi soldi in giro”. Rifletto un attimo, e mi chiedo se mi fosse mai capitato che uno sconosciuto facesse qualcosa per me in cambio di nulla. Grande Mario! L’aspetto della Polonia che più mi ha colpito è stato quello paesaggistico. Centinaia di chilometri percorsi in Vespa, qualche piccolo centro abitato e nel mezzo, grandi distese di campi, boschi e natura incontaminata. L’ideale per liberare la mente. Decido di andare verso Wrozlaw (Breslavia). Qui capisco che l’elemento “città” non è il mio forte. Ne esploro parte del centro e ci starò due giorni, prima di capire che no, qui non c’è feeling. Ho imparato a fidarmi delle mie sensazioni, quindi decido di cambiare aria. Via verso Cracovia. Sei da solo in Vespa, carico come un mulo, con delle strade dall’asfalto piuttosto improbabile. L’automobilista medio, a dir la verità, è piuttosto disciplinato, qui non c’è ancora l’usanza di guidare con lo smartphone sul volante…Ma l’imprevisto ci può sempre stare. Puntuale si presenta come un pozza d’olio in piena rotonda…nemmeno il tempo di pensare e sono per terra a bordo strada, dopo qualche metro fatto strisciando sull’asfalto. Il viscido asfalto polacco, se non altro, ha evitato di strapparmi i jeans e di fare danni peggiori. Un paio di botte, un gomito gonfio, la sacca della tenda distrutta, una fiancata della Vespa piuttosto “vissuta”, ce la siamo cavata con poco.

Segue qualche minuto di scoramento. Pensieri vari sul senso della vita e del mio viaggio, sul tavolino in una stazione di servizio. La cartina davanti a me. Cosa fare? “Un panino, una birra e poi…” come dicevano i Dik Dik. Arriva un motociclista che mi fa passare tutti i dubbi. “Ma come? sei arrivato fin qui e non vai a Cracovia, sei pazzo?” Mi racconta delle bellezze della città e duecentocinquanta chilometri dopo, sarò li, in pieno centro. Qui il “feeling” lo trovo subito. La città è semplicemente bella, c’è vita e respira. Difficile da descrivere a parole. Trovo un campeggio in periferia e mi accampo. E’ stata una giornata piuttosto lunga. Entro nel sacco a pelo e vado direttamente nel mondo dei sogni.
La mattina dopo giro la città. Incontro un vespista, si chiama Robert e mi riempie di numeri di telefono. “Quando sei qui chiama questo, quando vai in Slovacchia chiama quest’altro” e così via. Ho pensato, “beh, se esiste la divina provvidenza…si chiama Robert!” Più tardi mi fermo a suonare davanti al castello di Wawel, il pubblico mostra calore e partecipazione, un’oretta scarsa di concerto poi il cielo di colpo diventa nero. Oggi la chiamerebbero “bomba d’acqua”, io sono fuori moda e lo chiamo semplicemente “temporale”. Tuoni e fulmini, per due ore. Mi rifugio sotto un cornicione, dove incontro una specie di santone che mi ripete per quaranta volte, stringendomi il braccio e indicando il cielo: “è Dio, che ci punisce, è Dio che ci punisce”. Io, armato di buona pazienza, almeno per i primi trenta secondi, me ne esco con un “è Dio che sta venendo a prenderti!” Lui, strabuzza gli occhi, molla il braccio, mi punta il dito e senza dire una parola se ne va correndo sotto la pioggia. “People are strange” cantava Jim Morrison.

La mattina dopo mi presento al Vespa Cafè di Cracovia. Dove mi aspettano Piotr e il suo meccanico, conosciuti grazie ai numeri di telefono di Robert, per un controllo gratuito alla Vespa. Finalmente il mio inglese comincia a sciogliersi, si parlerà per ore di Italia, Motori, Vespe e chitarre. Piotr si offre di farmi conoscere per bene Cracovia e dintorni. Ci troveremo la sera stessa. Nel pomeriggio me ne torno a Wawel per un altro concerto. Questa volta vengo interrotto dopo poche canzoni dalla Polizia. “Ci spiace ma qui non si può suonare”. Quasi con rammarico la bionda poliziotta, si scusa e mi mostra gentilmente i punti della città in cui posso suonare tranquillamente. Mi stupisco, ma poi pensandoci credo che questa dovrebbe essere la normalità, in un mondo “giusto”. La sera mi trovo con Piotr, che mi porta in centro e mi fa uno spaccato della città polacca, vita, usi e costumi, tradizioni. Si offre gentilmente di accompagnarmi verso le montagne del sud, il giorno dopo.

Ci si trova la mattina, in una giornata che definire bagnata è poco. Appena fuori Cracovia, imbocchiamo una strada, di cui ricordo perfettamente il nome: “Kalwary”. Io, dentro me, ironizzando penso “bel nome per una strada”. Improvvisamente ho una brutta sensazione e la vespa comincia a scodare, per poco non finisco a terra di nuovo. Mi fermo. Gomma a terra. Bene. Il santone deve avermi lanciato qualche maledizione. Mi fermo ai lati della strada, Piotr non vedendomi più dagli specchietti, torna indietro. “Tranquillo ho la bomboletta col fast” dico io. Prendo la bomboletta, tolgo la scheggia di vetro dalla ruota e seguo la procedura indicata. Riempio la gomma di schiuma e riparto. Perfetto. Non fosse che dallo specchietto vedo mucchietti bianchi di schiuma lungo tutta la strada. Niente da fare, di nuovo a terra. Dopo qualche chilometro sul copertone, troviamo un gommista, proprio alla fine di Kalwary street. Mi ripara la gomma e si riparte.

Campagna, poi collina e finalmente le montagne. Luoghi a misura d’uomo, caratteristici e particolari. Cibi robusti. Ricordo il sapore di una crema a base di strutto ed erbe da spalmare sul pane. Altro che nutella! Ci dirigiamo verso Zubrzica Gorna. Paesino incantevole. Piotr mi aiuta a cercare una camera. Qui si parla solo il polacco. Parte la trattativa. Piotr parla con la signora, poi parla in inglese con me. Con trenta sloti a notte (6euro!) posso dormire in una bellissima camera con cucina e bagno. Mi lascio scappare una colorita esclamazione in italiano. La signora mi guarda stupita e se ne esce con un “ao’ ma sei italiano, ma checcefai qui??”. Anna, otto anni a Roma e un amore fortissimo per l’Italia. Saluto e ringrazio Piotr, che se ne torna a Cracovia ed entra di diritto in quelli che io chiamo “amici”. Anna, la donna più energica che io abbia mai conosciuto. Sei figli, tutti biondi, tra i cinque e i sette anni e una vitalità incredibile. Io al contrario, dopo una doccia, appena tocco il materasso mi addormento. Alle otto di sera sono già nel mondo dei sogni. Mi sveglierò dodici ore dopo. NUOVO. Decido di fermarmi anche il giorno dopo, qui non c’è niente, ma c’è tutto quello che mi serve. Dopo giorni “on the road” è arrivato il momento di staccare. Chilometri e chilometri a piedi lungo, strade e fiumi. Sono in pace con me stesso. La sera magicamente trovo le parole per finire una canzone in ballo da troppi anni. Ma non sempre si può fare quello che si vuole. Devo ripartire, altrimenti “l’anello” non si chiude. Con la tristezza di lasciare un posto in cui si sta veramente bene, il giorno dopo sono di nuovo in sella...direzione Slovacchia...(continua) (...forse)

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