Intervista - "L'uomo con la valigia"

Se ogni storia ha una morale, quella di Davide potrebbe finire così: “Se vuoi qualcosa, non stare ad aspettarlo… ma vai a prenderlo”.

Classe 1979, originario di Chiuro (Sondrio), cantante, chitarrista e autore, un giorno Davide Taloni ha caricato la sua Vespa con chitarra, amplificatore, tenda e si è messo sulle strade d’Italia per far conoscere le sue canzoni alla gente che incontrava, direttamente, senza intermediari. Il suo tour on the road – che si è svolto per tutti i week-end da giugno a settembre 2013 e per tre settimane di agosto – lo ha portato negli angoli meno trafficati dello Stivale, fra porti, prati, passi alpini e moli, dove ogni volta ha affrontato un pubblico improvvisato e ha dovuto conquistarlo a suon di note.

Davide, perché hai deciso di accendere la Vespa e andare in giro a suonare?

In quel momento, non vedevo alternative. Nel 2011 avevo pubblicato il mio primo album, “Sogni di libertà”, che ho fatto conoscere nella mia zona. Girando, mi sono accorto che i costi da
sostenere per uscire dal territorio erano troppo elevati, ma anche che i gestori dei locali volevano soprattutto cover famose e non mi davano la possibilità di promuovere le mie canzoni. Così ho iniziato a fantasticare su un progetto che mi permettesse di suonare
quello che volevo, senza limitazioni, ma anche a costi sostenibili.

Questo progetto ti ha messo alla prova come artista?

Sì, anche perché suonare per strada è molto diverso rispetto a salire su un palco, dove la gente ti aspetta e magari è venuta apposta per ascoltarti. Quando ti esibisci on the road, non sai come verrai accolto, non conosci le usanze e le preferenze del luogo, non sai cosa aspettarti né quanta gente si fermerà ad ascoltarti. Ogni concerto è volante, va improvvisato ed eventualmente ritoccato in base a quello che trovi. In un certo senso, è un banco di collaudo per il proprio repertorio inedito, perché permette di tastare direttamente l’apprezzamento del pubblico.

Dove hai suonato?

Sceglievo location periferiche o comunque non troppo principali e affollate, che fossero pittoresche e caratteristiche per la zona. Per fermarmi dovevo trovare un bel posto, una bella scenografia naturale in cui fosse suggestivo suonare: un prato, un molo, un passo alpino.

Il brano che ha dato nome al progetto è “Viaggio ribelle”. Hai voluto portare un pizzico di
rivoluzione nel mondo musicale?

Sì, il termine “ribelle” si riferisce al fatto che ho scelto di andare controcorrente. Avrei potuto suonare nel centro di Milano, attirando un buon numero di persone con cover famose e tirando su qualche soldo, mentre ho preferito proporre brani sconosciuti in luoghi poco trafficati. Fra le location che ricordo con piacere c’è il Passo del Gavia, che prima di allora avevo visto solo in televisione come tappa del Giro d’Italia. Mi sono goduto ogni tornante, ogni roccia, ogni respiro di quell’aria rarefatta.

Come hai pianificato l’itinerario?

Avevo individuato un percorso di base, che si sviluppava fra nord e centro Italia, ma alla fine si trattava solamente di una direzione da seguire. Per il resto, decidevo tutto strada facendo, dal luogo in cui suonare all’alloggio per la notte, che trovavo sempre all’ultimo minuto.

Al di là della musica, questo viaggio è stato anche un modo per conoscere qualcosa in più
dell’Italia e degli italiani, per ricrederti o per imparare qualcosa?

Tutto il viaggio è stato una straordinaria occasione per apprezzare le diversità fra i territori. A grandi linee, ho capito che più si scende verso il sud, più la gente è calorosa: nelle Marche ho trovato un’accoglienza meravigliosa e paesaggi stupendi, ma anche in Toscana ho trovato un’atmosfera da cui non mi sarei più mosso di un solo centimetro. L’unico problema che ho riscontrato superando il confine fra Marche e Toscana è che nella seconda il costo della vita aumenta sensibilmente, ma per il resto la risposta del pubblico è straordinaria.

Il luogo più “difficile”?

Forse il Lago di Garda. Chi si fermava ad ascoltarmi di solito era straniero, magari tedesco, inglese o francese, forse perché all’estero sono più abituati alla musica su strada, mentre non era semplice catturare l’attenzione degli italiani. Non so per quale motivo, ma in quelle zone ho faticato non poco a instaurare un rapporto con i miei connazionali.


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